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  • Editoriale



    di
    Alessandro Vaccarone


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    Made in Italy, prodotto in Italia o 100%
    italiano?

    Avv. Vito Rubino, Professore Aggregato di Diritto dell’Unione Europea, facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi del Piemonte Orientale.

    Uno sguardo alla normativa per comprendere meglio alcuni concetti chiave del mercato.

    La recente crisi economica e le difficoltà commerciali determinate dalla cosiddetta “globalizzazione dei mercati” hanno fatto riemergere con forza le istanze di imprenditori ed associazioni di consumatori volte a tutelare il cosiddetto “Made in Italy”, ossia – nell’intendimento di molti – il prodotto “autenticamente italiano”.


    Ma quali sono i contenuti effettivi di un prodotto “Made in Italy”? Dove viene concepito e realizzato? Con quali materiali e maestranze?
    Le risposte che l’ordinamento italiano e dell’Unione Europea offre possono risultare per certi aspetti sorprendenti.

    Il “Made in Italy”
    La legge italiana distingue il concetto del “Made in Italy” da quello – talvolta esposto nelle etichette dei prodotti di largo consumo – di “interamente italiano” o, per dirlo con uno slogan “100% Italia”.
    Il cosiddetto “Made in Italy” non è positivamente descritto dalla normativa.
    La nostra l. 350/03(1) si limita, infatti, a descrivere ciò che non può essere considerato tale, prevedendo sanzioni penali a carico degli imprenditori che “spaccino” per italiane merci in realtà provenienti da altri paesi.
    Così l’art. 4 co. 49, nella sua versione aggiornata, stabilisce che costituisce reato ed è punito ai sensi dell’art. 517 c.p. la “vendita di prodotti con falsa o fallace indicazione di origine o provenienza”, ove per fallace indicazione si intende l’uso di segni, figure o quant’altro possa indurre il consumatore ad attribuire al prodotto una origine italiana anche qualora sia indicata l’origine estera del prodotto(2).
    Per “falsa indicazione di origine” si intende, invece, la stampigliatura “Made in Italy” su prodotti e merci non originari dell’Italia “ai sensi della normativa europea sull’origine”.

    Entrambe le indicazioni sono accomunate dal concetto di “origine”, che il nostro ordinamento mutua da quello dell’Unione Europea, e, in particolare, dalla disciplina doganale: ai sensi dell’art. 36 del regolamento 450/2008 CE(3) “le merci interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio.
    Le merci alla cui produzione abbiano concorso due o più Paesi o territori sono considerate originarie del Paese o territorio in cui hanno subito l’ultima lavorazione sostanziale”.
    Così, volendo esemplificare, sarà senz’altro “Made in Italy” (perché interamente originario dell’Italia) un peperone selezionato, seminato, coltivato e raccolto a Carmagnola (TO), ma potrà altrettanto definirsi “Made in Italy” un mobile che utilizzi legname tagliato in Romania, ridotto a listelli in Lituania ed infine lavorato in Italia (cosiddetta “ultima lavorazione sostanziale”(4)).

    Il concetto di “prodotto interamente in Italia” o “100% Made in Italy”
    Per ovviare agli abusi che la complessa disciplina sopra richiamata ha in parte consentito e tutelare la buona fede del consumatore interessato a comprare merci integralmente italiane il Legislatore nel 2009 è nuovamente intervenuto regolamentando anche l’indicazione “prodotto interamente italiano” e simili (e.g. “100% Italia”, “solo italiano” ecc.).
    L’art. 16 del d.l. 135/09, infatti, ha chiarito che per “prodotto interamente realizzato in Italia” deve intendersi quella particolare categoria di merci “Made in Italy” per le quali il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento siano compiuti esclusivamente sul territorio italiano.
    Si tratta, dunque, di una classe ben specifica di merci, in cui confluisce tutto il valore aggiunto del nostro design, del know-how produttivo, della capacità artigianale delle lavorazioni, ciò che, in definitiva, ha fatto grande l’Italia nel Mondo.

    Singolarmente anche in questo caso il Legislatore si è “dimenticato” di inserire nell’elenco degli elementi obbligatoriamente “italiani” la materia prima.
    Non è una svista: l’Italia è tradizionalmente povera di materie prime ed ha sviluppato il proprio genio nel saper trasformare i prodotti più che nel realizzarne le singole componenti primarie.
    L’Italia non è certo uno dei primi produttori al mondo di grano duro: eppure chi non assocerebbe la pasta al Bel Paese?

    Allo stesso modo non si può certo ritenere che in Italia vi siano boschi sufficienti a garantire il legname necessario per la nostra produzione mobiliera, eppure il design dei nostri mobilifici è invidiato (e copiato) in tutto il mondo.
    Insomma: la vera origine è quella delle idee e di chi sa metterle in pratica. Sta a noi saperle valorizzare al meglio sui mercati internazionali.

    (1) Si tratta della legge finanziaria 2004, che per la prima volta ha messo mano ad una sorta di codificazione dei concetti in discussione. La norma è stata più volte emendata e modificata negli anni successivi.
    (2) Si pensi ad un prodotto con etichettatura avvolta dalla bandiera tricolore, richiami figurativi all’Italia ecc., pur se in un angolo dell’etichetta sia effettivamente indicata l’origine straniera.
    (3) Si tratta del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio nr. 450 del 23 aprile 2008 che istituisce il “codice doganale comunitario”, pubblicato in G.U.U.E. L 145 del 4.6.2008 pp. 1 e seguenti.
    (4) Il concetto di “ultima lavorazione sostanziale” è complesso e genera spesso dubbi. In linea generale si intende con questa definizione il cosiddetto “salto di categoria merceologica”. Così, per tornare al nostro primo esempio, se il peperone è raccolto in Marocco e messo sott’olio in Italia il prodotto è italiano, perché da verdura fresca viene trasformato in conserva alimentare.

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