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  • Editoriale



    di
    Alessandro Vaccarone


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    E se dovessimo “ricominciare da capo”?


    Stiamo vivendo da un po’ di tempo situazioni attorno alle quali aleggia sempre più forte la minaccia di un “day after”, fino a non molto tempo fa espressione unicamente della fantasia di sceneggiatori di film di successo.
    Dopo l’11 settembre 2001 l’inverosimile è divenuto realtà, quasi che la fantasia degli autori di fantascienza, così come già accaduto precedentemente, sia stata anticipatrice di incredibili eventi.


    Le tempeste finanziarie recenti, anch’esse frutto del concretizzarsi di ipotesi “impossibili”, presentano una realtà ai limiti del prevedibile, con l’addensarsi di nubi talmente fosche sul futuro di molti di noi da rendere angosciante ogni ipotesi di ciò che potrà essere domani.
    I progressi della scienza, della medicina, lo sviluppo tecnologico apparentemente inarrestabile ci avevano dato la sensazione che mai più nulla di traumatico sarebbe potuto accadere nel corso della nostra vita.
    Abbiamo rivisto immagini di non molto tempo fa, quando giravano poche auto, la carne era il piatto della domenica e le città portavano ancora le ferite dell’ultima follia, e le abbiamo guardate con distacco, quasi che da esse ci separassero confini di irripetibilità.

    Ci siamo cullati nel progresso quasi fosse un diritto acquisito.

    Abbiamo preso a piene mani ciò che sembrava pendere dall’albero del domani senza limiti, con la certezza che la pianta non sarebbe inaridita mai.
    Ed abbiamo, poco per volta, abbassato la guardia, sempre proiettati verso un futuro che non avrebbe potuto che essere ancora più favorevole, relegando rapidamente il passato in una sorta di limbo da dimenticare, prendendo a modello stili di vita che non ci appartenevano.
    Oggi si affaccia sempre più insistente l’ipotesi di un ipotetico sconvolgimento degli assetti che ritenevamo consolidati, per cui potremmo, in barba alle nostre “sicurezze”, essere costretti a “ricominciare da capo”.

    Quanti di noi saprebbero rialzarsi per rimettere in moto la propria esistenza, combattendo l’angoscia dell’ignoto, ma riscoprendo una forza vitale forse mai percepita prima? Anche solo questa ipotesi, oggi non più tanto peregrina, ci riporta al “saper fare”.
    Ognuno si domanda: che cosa potrei fare io se tutto ciò che ho non ci fosse più, se la struttura sociale che mi tutela si frantumasse?
    Molti di noi sono stati impegnati, nell’arco della propria esperienza professionale, ad affrontare simulazioni di problemi ipotetici, per dimostrare le proprie capacità di reazione in situazioni di rischio ed incertezza.

    I “business game” sono stati spesso la palestra per giovani manager che, all’insegna del “learning by doing”, si sono formati in previsione di difficoltà ipotetiche da affrontare con rapidità ed efficacia. Se applicassimo questa tecnica di apprendimento ad un’ipotesi di “day after”, nel quale l’economia, i pilastri dell’ordine costituito e l’organizzazione della vita per come la conosciamo entrassero in crisi, quanti di noi ritengono di saper reagire per superare difficoltà ancor oggi solo immaginabili come parto della fantasia dei disastri?
    Proviamo a noi stessi, attraverso uno “start over game”, come sapremmo rimettere in moto ciò che un disastro naturale, finanziario o una guerra di proporzioni ancora inimmaginabili potrebbero aver determinato.

    Definiamo uno scenario non difficile da creare, in tutto simile alle immagini che ogni giorno ci arrivano dall’altra parte del mondo meno fortunata, dove anche il diritto di vivere è messo in discussione e dove ogni giorno milioni di persone affrontano difficoltà che per noi sono sepolte nella storia di generazioni dimenticate.

    Giocando a ricominciare da capo”, forse ci accorgeremmo del solco di indifferenza che separa la nostra opulenza dalla dignità e dal coraggio con il quale popoli che definiamo arretrati e che dovremmo considerare soltanto molto meno fortunati affrontano ogni giorno la vita.

    Se la risposta sarà: potrei farcela anch’io, allora chi avrà questa certezza potrà continuare a vivere nell’indifferenza dell’altro, dissipando ricchezze e consumando risorse non riproducibili.
    Ma se il risultato del “game” darà risultati di panico, di perdita di identità, di angoscia del futuro, allora, forse, sarà bene ritrovare il giusto equilibrio che è servito a creare, con il sacrificio delle generazioni che ci hanno preceduto, il mondo che stiamo collaborando a distruggere.

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