Siamo sicuri che a forza di innovare non perderemo parte di noi stessi? C’è una parola magica che sembra la condizione per ogni successo: innovazione! Senza la sua presenza ogni piano d’impresa, ogni progetto, ogni idea sembra non avere sufficiente forza evocativa per assicurarsi l’attenzione (prima ancora che l’interesse) di qualsiasi interlocutore.
Non vi è alcun dubbio che progresso significhi andare avanti e che andare avanti sia sinonimo di fare cose nuove o nuovi modi per dare migliore contenuto alle stesse cose, rendendole capaci di offrire nuove opportunità di fruizione. Non desideriamo certo mettere in discussione questa verità, ma forse possiamo soffermarci su alcune evidenze che dovrebbero suggerire una maggiore cautela nella corsa al nuovo, specialmente quando nuovo significhi abbandono di ciò che per l’insorgere delle innovazioni viene considerato vecchio, con tutte le connotazioni negative che a questo termine sono culturalmente legate da un po’ di anni.
Le grandi invenzioni hanno radicalmente modificato la vita dell’uomo, migliorandola al punto da porre le basi per successive innovazioni che hanno dato al progresso una spinta formidabile.
In tutti i campi la corsa al nuovo ha determinato progresso, molto spesso però gestito con visione di breve - medio periodo e, in alcuni casi, senza badare più di tanto alle conseguenze dell’abbandono del vissuto stratificatosi in centinaia d’anni. L’analisi non è certo semplice, anche perché è ormai immediato e spontaneo accreditare all’innovazione il merito del miglioramento della qualità della vita e del suo prolungamento, per evidenziarne le conseguenze veramente importanti per gli esseri umani. Il progresso, indotto dall’innovazione, ha determinato un’accelerazione così decisa alla nostra vita che contesti, che pur ne hanno fatto parte, sembrano sepolti in una dimensione che pare non appartenerci più.
Le immagini in bianco e nero, che l’innovazione della cinematografia aveva posto al servizio dell’ampliamento dell’esperienza individuale, non appaiono più semplicemente superate dagli attuali sistemi di comunicazione video, ma soffocate, con il loro contenuto di rappresentazione, forse ingenua, di valori e messaggi educativi.
Anche l’innovazione, introdotta nelle transazioni finanziarie, pareva destinata a produrre unicamente vantaggi per tutti, mentre stava invece destabilizzando gli equilibri creati in secoli di progressiva formazione dei sistemi monetari. I limiti di indebitamento delle banche (quelle vere e quelle ombra) sul capitale investito sono stati allargati fuori misura col pericolo di far scoppiare l’intero sistema finanziario.
Si può parlare di innovazione, in questo caso? o invece di regole mal pensate e da rivedere completamente?
Fuori dai circuiti finanziari strettamente specialistici il comportamento più diffuso (e di esempi se ne potrebbero fare molti di più) è stato quello di un’accettazione acritica del nuovo, celebrato di per sé come positivo, senza pensare che la nuova strada era molto più rischiosa della vecchia.
Messa così, la corsa all’innovazione cessa di essere la ricerca per l’ottenimento di migliori condizioni di vita, di diffusione del benessere, di superamento di disagi fisici, economici, psicologici, ma si prospetta quasi come entità a sé, che procede divorando se stessa, senza lasciare ad alcuno il tempo di verificarne l’utilità, la coerenza con gli obiettivi indicati, la supremazia sul vissuto che vuole ad ogni costo scalzare.
Forse, stiamo arrivando al limite delle possibilità di innovazione, ma non perché la mente umana (anche se così si dice) non sia in grado di andare oltre, ma perché si è investito in innovazione solo puntando alla crescita senza pensare a distribuire correttamente i ritorni economici. Arricchendo solo pochi e impoverendo troppa gente, prima o poi, si indeboliscono i consumi. Però è stato proprio così. E oggi ci ritroviamo ad avere qualche miliardo di esseri umani che vivono in condizioni misere e allo stesso tempo situazioni di instabilità economico-finanziaria al limite del sostenibile anche in molti Paesi occidentali.
Forse dovremmo puntare i piedi, non per opporci al nuovo, ma per darci il tempo di verificarlo alla luce di ciò che siamo, di ciò che vogliamo continuare ad essere, senza dover rinunciare, magari inconsapevolmente, a componenti fondamentali di noi stessi.
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